“Camorra Sonora” è un bellissimo monologo scritto da un attore napoletano di nome e di fatto, naturalizzato vicentino. Roberto Maria Napoletano, così si chiama l’autore-regista e interprete della pièce, è nato a Napoli ma vive a Vicenza da sempre senza aver preso alcuna inflessione veneta. Parla perfettamente la lingua napoletana e ha scritto questo monologo in cui il protagonista è una figura archetipica del servo, paradossalmente incarnata da un personaggio fittizio della cultura popolare: Pulcinella. Il filo narrativo scorre lungo una linea di tempo allungata dalla creazione di questa maschera che è in ogni caso protagonista, fino ad arrivare ai giorni nostri. Senza entrare in dettagli cronachistici, Napoletano parla di una Napoli violenta da sempre, con motivazioni sempre uguali alle originarie fino ad arrivare ai giorni nostri in cui le dinamiche di violenza, sopruso, prepotenza e ricatto si sono ulteriormente inasprite. In questo ritratto di una città che è sia palcoscenico che personaggio, non ci sono sconti per nessuno, non vengono date né colpe né giustificazioni e tutta la narrazione e la dinamica dei fatti si reggono su un concetto cruciale che andrebbe assimilato: la responsabilità di ciò che accade è nostra e non dello Stato o del dominatore-invasore. Tirare un grilletto è una scelta personale, anche in una situazione di coercizione violenta. Non è tuttavia solo una storia napoletana questa, ma potrebbe esser ambientata ovunque ci siano dinamiche di poteri che fanno pressione su individui deboli che finiscono al “cane mangia cane”, perché si sa che la regola principale della tirannia è indebolire il tessuto. Divide et impera.
“Camorra sonora”: perché “sonora”?
Roberto Napoletano: “ Come si può sentire dagli effetti che io stesso ho creato, non ci sono musiche ma degli effetti sonori. Delle volte non sono più le canzoni che ci ricordano qualcosa ma basta anche una sola nota. E quando è una sola nota, molto di più è un rumore che ci fa ricordare sulla pelle molte cose e in questo spettacolo sono cose più brutte che questo servo ha vissuto. Dai suoni cupi, ai tuoni, ai rumori della pioggia che cade scrosciante, Pulcinella ricorda il primo omicidio che ha fatto.”
Anche della gestualità che c’è, perché lui è a letto e tu vedi il segno della pistola, il pungo, gesti di violenza. Quindi li ha assimilati al punto che l’inconscio li rivela.
“Esatto. Lui non ha una mente tranquilla, il sonno è sempre agitato.”
Quali sono le cose che più ti hanno colpito sentendo la cronaca o anche i film e i libri, Saviano?
“Tutti noi abbiamo letto il libro di Saviano, visto il film di Garrone ecc, non mi sono voluto, però, ispirare a questo né ho voluto approcciare la realtà dei fatti: non nomino nessuno dei capiclan, così come quel nome che dico, Giuseppe, è assolutamente inventato perché non volevo cadere nella cronaca. Immaginiamo questo: la maschera di Pulcinella è nata nel tardo ‘500, immaginiamo che sia un servo. A Napoli ci sono dei padroni. Da quale sfera sociale nascono quelli che possono avere dei soldi? Attraverso cosa? Napoli è un golfo, quindi dal commercio. Mettiamo una cosa qualunque: stoffe. Che arrivano dalla Turchia e da tutto il mondo. Mi sono inventato questo, quella loro mania di espansione e grandezza: chi ha poco denaro ne vuole molto, chi ne ha molto ne vuole di più, che ne ha di più ne vuole troppo. Questa è la storia del padrone: si voleva arricchire anche a scapito delle leggi di quel momento fatte dai dominatori nel corso dei secoli. Il nostro è un Pulcinella immortale così come lo è il suo padrone. Sono archetipi”
Però tu nella pièce citi le varie dominazioni: gli aragonesi, i turchi, i francesi, i normanni, ma non citi i Savoia! Perché non citi i Savoia?
“Nel testo c’erano, su questo ti dò effettivamente ragione, ti posso dire che sul fattore della modernità ho considerato questo, i Savoia sono l’ultimo fattore per arrivare all’èra moderna. Per arrivarci ho usato polizia, ambulanza, carabinieri e i giornalisti per dire che siamo arrivati anche ai nostri giorni. Non voleva essere né un fattore di difesa né di accusa contro i Savoia, semplicemente non ho voluto citare famiglie, cognomi dei clan, infatti ho detto “i Normanni” e non quale re normanno. Io stesso, la famiglia Napoletano discende dai Caracciolo. Non ho voluto né osannare né criticare, perché secondo me si cadeva troppo nella cronaca.”
Servo e padrone sono archetipi e il popolo napoletano non può identificarsi nel padrone, però tutti sono servi e padroni, perché il padrone è un bottegaio.
“Certo, infatti anche lui viene vessato dai dominatori, ci vuole provare a farla franca, vede che arriva ricchezza e potere ma sa che ci sarà sempre qualcun altro che sarà più potente.”
C’è un po’ sempre questa cosa ambigua, nelle crime stories, in cui viene data una sorta di giustificazione al “cattivo” perché nel momento in cui si propone il suo punto di vista, diventa giustificabile la motivazione che lo ha spinto a fare…qua vediamo che il padrone è un commerciante normale, vende stoffe buone, però è un malamente, fa le stragi e alla fine lascia tutto al servo che chiama fratello, amico. Parole che hanno un peso e un valore enormi perché anche se sei malamente, usi dei termini che ti coinvolgono e ti vincolano.
“Come succede nei veri clan: purtroppo arrivano ai patti di sangue dove dobbiamo fidarci e ci dobbiamo dire con chi ce la facciamo, se qualcuno ci deve dare fastidio perché tu sei andato a “pippare” l’altra sera da un’altra parte…”
Si ma si arriva al punto che nemmeno ci si fida.
“Esatto: solo io sono attaccato alla fede per il padrone mio perché solo io ero l’unico servo perché gli altri erano operai e simil-commercianti che lavorano con noi, ma chi sta veramente sotto, chi si fa il taglio sulla mano e resta fedele al padrone ci rimane fedele per sempre.”
Tu parli di una camorra legata al commercio dal basso: bottegai, mercanti, operai ecc. per cui fai vedere che la camorra è qualcosa che nasce dal popolo. È una cosa molto pesante e impegnativa quella che metti in scena, cioè non parli di un potere che nasce in quanto potere o che viene legittimato da un altro potere, che ne so, i Savoia che si servirono della camorra…
“…Per il brigantaggio!”
Ecco. Tu parli di un potere che nasce dal basso e si sviluppa.”
“Lo so che potrebbe essere deviato: potrebbe essere che allora gli operai sono quelli più alla mercè per diventare criminali. Questo lo ripeterò sempre: è una storia inventata. Potrebbe essere successo così perché io mi sono andato a leggere le origini della camorra, ma sai quanto parlano delle origini della camorra? Tanto così…”
…Pochissimo
“Per me anche con questo fazzoletto sporco di rossetto ci fai uno spettacolo di tre ore e mezza.”
Poi volevo chiederti di questo fatto d’ ‘a cucchiarella che funge da fierro, da curtiello: ‘hê pigliato sul ‘a cucchiarella perché volevi far vedere la povertà oppure perché hai voluto far vedere che in scena quello c’era e quello può fare tutto?
“Questo voleva essere un espediente di Commedia dell’Arte, ma non volevo fare uno spettacolo di Commedia dell’Arte. Volevo fare vivere questa maschera attraverso degli oggetti. Come hai visto la scenografia è scarnissima se non assente quasi del tutto e quel poco, a Pulcinella gli basta. Pulcinella, infatti, lo ha fatto nascere il popolo per irridere i potenti, il popolo che non teneva niente, che si arrangiava col pentolino vuoto e con la cucchiarella che sta llà e che può sbattere solamente a llà perché c’ho fame e per questo sono diventato servo tuo: per poter avere la garanzia di essere sicuro di avere una casa e uno stipendio. Però uno sbaglio l’ho fatto: ti ho detto sempre di sì, ho fatto un patto di sangue. Non fosse mai arrivato quel giorno di pioggia, quel giorno di festa, che mi misi a tirare i coltelli e a sparare a quello: se non lo avessi fatto, mò di cosa staremmo parlando?”
Ma cumm’è che questo padrone nùn ‘o chiamm “Masto”?
“Stiamo a Vicenza! “Masto” lo avresti capito solo tu! E infatti abbiamo fatto lo sketch!”
Eh ma hai fatto “ ‘o mesale”, hai fatto “ ‘a cucchiarella” !
“Ma perché tu mi hai interrotto subito: io ho detto “mesale” e tu hai detto “tovaglia” altrimenti sarebbe durata 5 minuti!”
Ma tu chiedi la spalla al pubblico, questo è un debutto, nuje c’ ‘amma fa?
“Ma tu c’hai ragione, io ho messo anche alla prova: vediamo se il pubblico sta reagendo!”
Hai tirato fuori “Jesce sole”, Nuova Compagnia di Canto Popolare. Le citazioni a Peppe Barra sono evidentissime.
“ Se posso però permettermi un appunto: NCCP è errato perché “Jesce sole” è un canto del’600 perciò l’ho preso da là. Certo le acutizzazioni dal punto di vista della tonalità le ho prese proprio dalla NCCP.”
Tammurriata Nera, che lui fece “La guerra”, che tu hai cambiato ancora.
“Esatto: “La guerra” dice che arrivano gli americani e quello nero gli dà la “botta”, è per dire che noi abbiamo fatto la guerra ed è morto acciso nù guaglione e quando c’è una guerra non si nasce, si muore.”
La pièce l’ho trovata molto commovente perché parla di una realtà che qui o fuori da Napoli non è molto capita secondo me, eppure tu sei riuscito a far capire quanto la problematica della camorra non sia soltanto un discorso di organizzazione internazionale, come ci hanno fatto vedere Saviano, Sollima e Garrone. Tu ci stai facendo vedere che la camorra è un atteggiamento intriso nel tessuto sociale delle persone, nessuno è immune.
“Nessuna concessione all’innocenza, tutti quanti siamo colpevoli, da un certo punto a un altro: magari tu non te ne accorgi e lo stai diventando. Sai quando la gente ti dice: “ma chi ti credi di essere?” e tu dici: “ ma perché? Che ho fatto di male?”. Kipling diceva “…se riesci a non dubitare di te stesso, quando tutti ne dubitano, ma anche a cogliere in modo costruttivo i loro dubbi…”, cioè anche gli altri hanno un cervello, non prenderli per fessi, non ritenerti estraneo alle critiche e al di sopra perché chi vuole stare sopra alla gente, per chi vuole comandare il quartiere, il sangue degli altri non è più un pensiero, anche se dice che lo fa per proteggere. A chi!? Se vogliamo proteggerci lo dobbiamo fare l’un l’altro senza un capo.”
Anche perché tu dici: “ma qual è l’età giusta per morire?”
“Esatto: “ma perché ci sta un’ età giusta per morire?”.”
Pulcinella uccide un ragazzino perché gli hanno detto che è comunque grande e chi se ne frega. C’è una gerarchia dei morti, purtroppo.
“Perché deve essere tutto scusabile. Se dobbiamo andare al potere lo dobbiamo scusare: “ma non capite? Lo abbiamo fatto altrimenti lo avrebbero fatto loro, noi abbiamo salvaguardato”. E gli altri dicevano: “uccidilo perché tanto è grande, si può fare”. Perché se è grande è responsabilizzato, lo sa benissimo che si è messo dall’altra parte ed è cattivo anche lui, si può fare. Poi, dopo che ho scoperto che ha 16 anni, è da là che comincia il pentimento. Ricordiamoci che Pulcinella sta in cella di isolamento e per la prima volta vede della gente dopo che è stato incarcerato, forse è anche per quello che c’è finalmente una confessione in cui si può dire che ha ucciso.”
Questo rapporto con la potenzialità, con la possibilità: Pulcinella ha ucciso il ragazzino, poi lo incontra nella sua coscienza, nei suoi sogni, e gli dice di riscattarsi, di scappare. “C’ fatica vuò fa? Vuo’ fà ‘o scrittore? Sarò servo tuo quando mi porterai il copione, intanto vatténne”. Spiegami questa cosa.
“Pulcinella rimane sempre un servo della Commedia dell’Arte, attraverso tanti testi che sono stati scritti da tanti autori dal ‘500 ad oggi. Questo ragazzo ucciso è dei giorni nostri: magari poteva crescere e diventare un nuovo Roberto Saviano, faceva il bottegaio, faceva il camorrista, qualsiasi cosa. “No, io voglio fare teatro! Mi piace scrivere!”. Ha 16 anni, non è ancora responsabilizzato del tutto, gli piace questa maschera di Pulcinella che irride i potenti nonostante sia servo e che comunque non vuole stare sotto a nessuno : “bravo c’hai curaggio, Pulcinella. Però ti posso dire che hai sbagliato, io mò sono morto, sto dall’altra parte e se ne avessi l’opportunità, scriverei un’opera teatrale su di te per farti redimere completamente. Certo mò ti hanno messo alla gogna come il servo di una camorra ma tu sei molto di più e puoi anche riabilitarti, come tutti gli altri che se cadono nell’illegalità non è che non c’è più speranza , basta che ce la fai, basta che qualcuno ti dà una mano.”
C’è anche questa cosa ambigua che illegalità non vuol dire criminalità, è molto sottile questa cosa, c’è in tutta Italia, però giù forse è più sentita.
“Guarda, penso alle schede telefoniche contro l’illegalità, a Napoli: “sì, ho comprato uno stereo rubato, ma che c’entrano i morti ammazzati? Tutto è collegato.” Così come quando tu espandi il commercio e te ne fotti degli altri commerci. Anche loro devono campare, hanno famiglia, se rimangono senza soldi e mangiare, vedi quello che succede: quello che si dà fuoco, arriva uno dentro la bottega che dice “mò basta” e fa omicidio suicidio, la goccia che fa traboccare il vaso. Ci stanno gli imprenditori che la fanno finita perché sanno che sono 6 mesi che non riescono a pagare gli operai.”
C’è una cosa molto importante che ti voglio chiedere: tu sei nato giù però sei cresciuto qui. Prima domanda: pensi che saresti riuscito a scrivere un testo così lucido e penetrante se fossi cresciuto lì, che vivi lì? Seconda domanda: pensi che giù accetterebbero un testo così, scritto da un napoletano che però lo è fino a un certo punto, perché alla fine sei di su?
“È vero, è vero.”
“Tu stai su, che ne sai?” questo è sempre un po’ il problema, no?
“Alla prima domanda ti rispondo che l’amore rende ciechi ma l’odio pure. Alla seconda vorrei dire che per fortuna o purtroppo, essendo cresciuto qui , sono cresciuto nell’emarginazione perché erano i primi anni della Lega in cui i colpevoli non erano gli extracomunitari ma erano ancora i meridionali. Poi, dopo i 10-12 anni, “per fortuna” se la sono presa con gli albanesi. È tutto un fenomeno di reazioni chimiche agli altri comportamenti umani che colpiscono te. Fino all’età di 18 anni non parlavo con nessuno, balbettavo sempre poi in quarta superiore ho scoperto il teatro. Se dovessi
portarlo a Napoli questo spettacolo spererei di avere un po’ di fiducia, qualcuno che si chiedesse: “ma sai che vuless proprio capì come mai è nato ’sto fatto, ogni giorno in tv ci scassano le palle, sempre di camorra. Siamo sempre noi i colpevoli?”. Pulcinella non è nato colpevole, è un servo come tanti, poi, come ti dicevo, odio, amore e soldi, rendono ciechi. Loro non si sentono perduti ma neanche salvati. La lingua napoletana e dei gesti è nata proprio dal fatto che si dovevano far capire da tutti i dominatori che cambiavano, per dire, ogni 50 anni: una volta che avevi imparato il francese, dovevi imparare lo spagnolo.”
Conosco Napoli, è una visione molto lucida e appassionata ma anche molto distaccata. Questo perché vivi lontano?
“Ne sento sempre nostalgia. E forse se avessi avuto degli amici, non l’avrei avuta. Tornavo a casa dalla scuola elementare, facevo i compiti di matematica e mettevo una cassetta di Eduardo, soprattutto una: Lu curaggio de nu pumpiero napulitano in cui ci sta Tommaso Bianco che fa Pulcinella: “Sissignore, vostra Eccellenza Illustrissima, non lo nego, ma l’ho scassato perché, se vi ricordate, vostra Eccellenza mi stava chiamando di fretta e io, per correre da vostra Eccellenza Illustrissima, menaie tutte cose ‘nterra.”- “ E chi ha detto che le tazze le devi pacare tu?”- “U’ maggiordomo, don Achille.”- “U’ maggiordomo..Don Achille è una bestia! Quando un servitore rompe una qualcosa per servire me, non la deve pacare. Bravo Pulcinella, ti sei comportato benissimo. Le tazze le deve pacare don Achille.” Così come Ferruccio Soleri, maschera per eccellenza di Arlecchino vivente,Tommaso Bianco è riconosciuto come la maschera per eccellenza, di Pulcinella, vivente. Sentivo sempre questa cosa e Tommaso Bianco tiene testa a Eduardo. Secondo Orson Welles Eduardo era uno degli attori più formidabili della storia: anche se sta sul palco senza fare niente e la scena è tutta da un’altra parte, tu guardi solo Eduardo che non sta facendo niente. Quando faceva i provini ai suoi attori li faceva camminare dietro le quinte, se sentiva rumore di passi li mandava via. Quando stai fuori di scena…”
Non devi disturbare chi è in scena…
“… No! Poi ritorni dentro a fare più rumore che puoi sul palco, ma fuori t’hê sta zitt, perché se sta andando da cani come puoi saperlo? Almeno se torni dentro puoi dare una mano. Se non ascolti e ti fai i cazzi tuoi non sai nemmeno a che parte stiamo.”
Anche perché hai scaricato energia.
“Altrochè!”
“Lu curaggio de nu pumpiero napulitano” con Eduardo e Tommaso Bianco