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Masako Matsushita è una coreografa e danzatrice che si occupa di ricerca nello studio dei movimenti. Il movimento, sia organizzato che involontario, è quasi sempre portatore di significato, a sua volta il precipitato di una cultura, cioè alcuni gesti possono essere presenti in un gruppo sociale abitante in un determinato spazio fisico e in altri no. I movimenti però non sono una prerogativa degli esseri umani ma anche ovviamente degli animali e degli oggetti. Un progetto molto importante e interessante che ha coinvolto diversi enti culturali ed istituzioni europee, durato 3 anni, è Dancing Museum the democracy of beings, sostenuto dal programma europeo Creative Europe e di cui il festival Operaestate di Bassano del Grappa è stato capofila e che interseca contesti apparentemente diversi, come i musei,  in cui ambientare il movimento. Questo progetto ha avuto un’intersezione con un altro progetto della Matsushita, Diary of a Move:  nell’ultimo segmento del progetto, durante il lockdown di aprile 2020 sono state coinvolte decine di persone di varie nazionalità e paesi ai quali  la coreografa ha dato delle istruzioni per raccontare un movimento della propria quotidianità, nello spazio domestico in un momento storico senza precedenti, in cui eravamo miliardi di persone chiuse in casa. Ogni persona ha creato delle pagine di un diario in cui descriveva a parole il proprio contesto e/o con disegni il proprio rapporto con la postura e il movimento, il proprio relazionarsi con lo spazio attraverso il corpo, anche l’osservazione del corpo dei propri familiari, o del proprio animale domestico. Diary of a Move la Matsushita lo aveva ideato già alcuni anni fa, nel 2012  e l’idea iniziale era quella di  tenere un diario giornaliero in cui veniva selezionata un’azione ogni giorno per 30 giorni.

Le domande di ricerca che si poneva la Matsushita erano se fosse possibile creare una forma di scrittura del quotidiano attraverso il movimento, se la scrittura potesse essere sostituita o affiancata dal movimento e come il corpo potesse essere uno strumento di documentazione quanto lo è un diario. Un’altra domanda importante era quanto sarebbe stato possibile risvegliare la memoria di una determinata giornata, a distanza di tempo, attraverso i movimenti raccolti e quanti dettagli si sarebbe riusciti a far riemergere. E ancora: è possibile creare una collezione dentro e fuori dal corpo, dove il corpo è a sua volta un museo?

Diary of a move si è sviluppato in 3 tranches, una in gran Bretagna ( UK30), una in Norvegia e Giappone Nor14 e JP15 ( nel 2016) e l’ultima durante il primo lockdown sfruttando questo evento unico per mettere in relazione contemporaneamente persone da tutto il mondo nel’ambito dello spazio domestico.

e che è ancora in corso e in fase di analisi:

È stato creato un patrimonio condiviso con un diario-catalogo di queste esperienze che è stato donato alla città di Bassano del Grappa e che è stato presentato in una mostra allestita un anno fa, sempre a Bassano, (insieme a un’altra mostra “Terzo Paesaggio” che coinvolgeva gli studenti di una scuola media che si erano raccontati attraverso delle foto e che fu notata anche da Oliviero Toscani *),  dove i diari erano dentro delle teche, e dove era possibile dialogare tramite telefonata skype, senza video, con alcuni partecipanti al progetto. In quell’occasione io parlai al telefono con un ragazzo, Aurelio, che mi disse che lui aveva raccolto i movimenti in 30 giorni e che segnare il movimento era diventato un appuntamento, anche il minimo movimento entrava in una dimensione più ampia: Con questo tipo di esperienza lo spettatore era differito nello spazio e nel tempo. Una contemporaneità che si vive dal passato.

Dancing Museum è un progetto che è stato attivato nel 2018 dove la danza diventa uno strumento per mettere in comunicazione le altre arti e lo spettatore. Nell’ambito di Diary of a move l’esperienza del movimento e della vita domestica viene museizzata attraverso il diario scritto, i disegni, le telefonate dal vivo, tutti ambiti espressivi che non appartengono alla dimensione corporea della danza ma che vengono utilizzati per tradurrre la spazialità e la relazione con il corpo.. Questo tipo di ricerca ha coinvolto istituzioni come l’università di Venezia Ca’ Foscari ( e altre università tra cui quelle di Bergamo, Sidney e l’Accademia di Belle Arti di Brera ma anche la Fitzcarraldo, fondazione di ricerca, formazione e consulenza nel management delle arti) e in occasione della chiusura del progetto è stata organizzata una conferenza coreografica da remoto dove sono stati dati alcuni input per riflettere su contesti e situazioni ai quali si poteva rispondere collettivamente usando la chat e altri in cui, grazie ad alcuni movimenti, si prendeva consapevolezza dello spazio domestico che ci circondava, seduti davanti allo schermo.

La ricerca di Masako Matsushita rientra in questo tipo di sistema comunicativo metalinguistico in cui tutto viene contemplato: per il progetto Dancing Museum ha realizzato anche spettacoli interattivi con realtà virtuale in cui lo spettatore è direttamente coinvolto.

 

Diary of a move è un progetto straordinario, un vero e proprio monumento dell’umanità intersemiotico costruito in condivisione dove gli spunti e le fonti sono tutti citati costituendo una bibliografia e sitografia ricchissima. La ricerca comprende anche uno spettacolo in cui la Matsushita rilegge alcune pagine di questo diario collettivo e rimette in scena una selezione di movimenti descritti fino a quando vengono ricapitolati privi del contesto originario descritto. In questa selezione ci sono riflessioni e osservazioni sui propri movimenti, su quelli degli altri familiari come il bambino che ha la testa appoggiata alla mano per poi spostarla sull’altra, il ragazzo che spiega come si allestisce una mostra interrompendo il discorso con degli intercalari sia verbali che gestuali (“capisci?” associato al gesto della “mano a carciofo”) o della signora che annaffia il giardino muovendosi al ritmo di “There’s must be a place” dei Talking Heads.

 

La parte coregrafica di Diary of a Move è andata in scena a Valdagno nella’ambito della rassegna Finisterre. Alla fine dello spettacolo è stata distribuita una busta con la spiegazione del concept del progetto, la sitografia e l’elenco di tutte le citazioni messe in atto dai partecipanti. È possibile anche ascoltare la  playlist di tutte le canzoni e componimenti ascoltati e citati nei diari su una playlist su spotify dal titolo appunto, Diary of a move.

Qui sotto si può vedere l’intervista che ho realizzato con Masako Matsushita e più sotto una sintesi video del progetto ( foto spettacolo Michele Memola)

 

 

*In occasione della mostra parlai anche col professore di arte della scuola media coinvolta, Giovanni Zonta. Riporto qui brevemente il materiale raccolto poichè negli ultimi anni artisceniche è stato hackerato più volte e non sempre sono riuscita a pubblicare il materiale perché è anche capitato che il sito non fosse accessibile. In altri casi il materiale è andato perso ( e verrà ripristinato nel tempo come materiale d’ archivio datato alla pubblicazione del momento) o alcune impostazioni hanno subito delle modifiche dovute ad aggiornamenti per cui gli articoli risultano spostato o impaginati in modo non leggibile chiaramente. Purtroppo devo gestire da sola il sito e non ho competenze tecniche di wordpress tali da poter risolvere problemi di questo tipo in autonomia e molte volte sono costretta a lasciare le cose come sono per un po’.

In ogni caso in quell’occasione il professore mi disse che ai ragazzi era stata lasciata libertà d’espressione, salvo alcuni dettagli tecnici; io notai che già a all’età delle medie i ragazzi avevano una grande creatività e consapevolezza del mezzo fotografico. Del progetto parlarono anche il Corriere del Veneto e Repubblica.

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Elena De Dominicis

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