Il CSC Operaestate ( centro per la scena contemporanea) di Bassano del Grappa è uno dei protagonisti di un progetto europeo che si chiama ACT YOUR AGE, che coinvolge l’Olanda con il Nederlandse dansdagen- Maastricht e Cipro con la Dance House Lemesos. Il progetto indaga sul rapporto che intercorre tra la danza e l’invecchiamento del corpo. La restituzione è avvenuta la settimana scorsa con tre atti unici andati in scena in tre ambienti diversi: il primo al Corpo di Guardia del Castello degli Ezzelini è stato lo spettacolo di Marco D’Agostin dal titolo “Last day of all” ispirato a “La sagra della primavera” di Stravinsky di cui quest’anno ricorrono i 100 anni . Il secondo, al CSC San Bonaventura dal titolo “Blind date” ad opera dei coreografi Arthur Rosenfeld e Liz King, lui danzatore americano che ha danzato per anni con Pina Bausch e direttore artistico della compagnia olandese Meekers, lei inglese direttore artistico in Austria di D.ID dance-identity, il terzo a CSC Garage Nardini, di e con Silvia Gribaudi con il gruppo di ricerca Free Your Age dal titolo “What age are u acting?”.
L’intervista che ho realizzato è con Arthur Rosenfeld e Liz King. I due artisti non si erano mai incontrati prima di questo progetto.
Generalmente la carriera di un danzatore finisce intorno ai 35 anni però un danzatore anziano ha sicuramente più esperienza, perché non avviene che ci sia spazio anche per i danzatori anziani?
Arthur Rosenfeld: “ Nella contemporanea è già successo.”
Liz King: “Sarebbe interessante vedere questa coreografia “marcata” con i passi base: tutta l’esperienza della danza rimane nel tuo corpo, che certamente invecchia come quello di un musicista o degli altri artisti.”
A.R.: “Io penso che per un performer di palcoscenico, un danzatore, la linea base sia che con l’esperienza si può fare di più con meno e questa è sempre una regola in teatro. Chi ha molta esperienza di palcoscenico riesce a farlo, è molto più difficile, e se tu chiedi alla gente che guarda la danza tutte le volte che hanno trovato molto più fresco e innovativo, persone con maggiore esperienza sul palco che porta tutte le altre cose perché con davvero pochissimo riescono a esprimere moltissimo.”
In questa pièce l’interpretazione è molto importante perché si racconta una storia di solitudine; lei dice che è da sola e che si sente sola e che cerca della gente in rete, poi chiede: “cosa vuoi che io faccia?” perché vuole che lui la diriga come regista. Questa ripetizione del “cosa vuoi che io faccia?”, la ripetizione del lavoro la fa sentire meno sola? Riempie il suo vuoto?
L.K.: “C’è certamente un riscontro quando sto lì dopo la mia introduzione, il fatto che lui trovi interessante dirigermi o che mi aiuti, è già in sé una forma di comunicazione e penso che sia una tua proiezione di percepire queste cose: a teatro c’è sempre quella che noi definiamo “licenza teatrale” che ti fa leggere ciò che vedi. Ma in effetti quando lui mi scuote è come se tornassi in me stessa e lui subito dice: “oh molto bene è andata molto bene”. Quindi hai ragione, la tua interpretazione è una possibilità.”
Vi mascherate con le parrucche e sembra che chi è solo si debba comportare come se fosse più giovane. Perché le persone sono sole? Pensate che le persone anziane siano più sole dei giovani o è lo stesso per tutti?
L.K.: “Penso che abbia a che fare col fatto che perdi gli amici, le persone che hai conosciuto muoiono e il tuo mondo si fa un po’ più piccolo ma è qualcosa che devi imparare quando diventi anziano, che la gente più giovane ha molte cose da fare nella propria vita, quindi non è solo la solitudine ma chi sei. Puoi uscire ed essere parte della comunità ma inevitabilmente devi imparare a fare un po’ un passo indietro perché magari i tuoi amici se ne sono andati; è la vita.”
In Italia si tende ad avere una percezione dell’essere anziani che è diversa da altri paesi stranieri, come possono essere i paesi scandinavi o nordeuropei in genere: sembra che all’estero si cresca o si invecchi più in fretta perché molto spesso qui si rimane a casa con i genitori fino anche a 40 anni. Il modo in cui il pubblico reagisce alle vostre performances ed entra in contatto col vostro lavoro cambia da paese a paese in base all’età? Magari quelli di 30 o 40 anni nordeuropei dove sono più indipendenti rispetto a noi, il modo in cui invecchiamo può portare a interpretazioni diverse?
A.R.: “Non saprei e non ho un’esperienza in tal senso per poter giudicare, di certo non è l’età ma sicuramente le culture diverse e i pubblici diversi ma non saprei che relazione ci possa essere con i gruppi. L’Italia ha molta cultura e al tempo stesso, attraverso questa cultura la gente viene forgiata molto di più, per quello di cui stai parlando tu, di certo nei paesi nordici, il senso della famiglia è sicuramente meno dominante, qui c’è molto di più.”
L.K.: “Penso che sia anche il clima: se vivi in un clima temperato sei molto più a tuo agio e riesci a spostarti in giro con gli altri. Nei paesi nordici, come in Austria, fa molto freddo d’inverno e utilizzano moltissima energia per riscaldare le case, può essere un grosso problema andare da casa tua a quella di qualcun altro se sei anziano perché le strade sono ghiacciate e scivolose. Ci sono molte difficoltà e si formano dei gruppi familiari che si aiutano a vicenda, questo sicuramente fa un po’ la differenza.”
A.R.: “Io penso che, come dicevo, sia più il legame familiare, ciò che tiene la gente giovane più a lungo è rimanere socialmente attivi e avere un senso di appartenenza ad un posto è molto più facile in una piccola cittadina come questa che in altre società dove le persone sono più isolate, come nelle grandi città tipo Milano.”
Ad un certo punto dello spettacolo mettete musica caraibica, come mai questa scelta?
A.R.: “Fondamentalmente la performance ha tutti i tipi di colori al suo interno e il modo in cui funziona e arriva alla gente in modi diversi, qualcuno ride, qualcun altro si commuove; passa attraverso vari estremi. È anche una specie di viaggio che noi facciamo e dove provi cose diverse. Anche l’idea delle parrucche non é tanto perché pensiamo di essere giovani ma più che altro a quando eravamo hippy!”
Una parte del numero è muta, che cosa rappresenta il silenzio per voi in questa pièce?
A.R.: “Non è realmente muta ma quasi, ha a che fare con lo stare insieme ma al tempo stesso essere isolati; certamente c’è molto di più nell’entrare dentro te stesso e nei tuoi ricordi, direi nel non riuscire a godersi il momento, in realtà, perché sei preso da qualcos’altro. Sono suggestioni, credo che si riesca a cogliere il gusto, la suggestione di ciò.”
L.K.: “Io amo molto il silenzio sul palco, per me il silenzio riempie l’intera sala: adoro ascoltare lo spazio nella sala e l’energia del pubblico che magari aspetta. Il silenzio è una forza molto forte a teatro, se ci credi.”
A.R.: “Il silenzio è certamente musica. In realtà c’è sempre musica in corso, molto sottovoce e in sottofondo si sente.”
Il coro rappresenta le persone che lei vuole incontrare, il modo in cui le piacerebbe vivere con le persone che cerca? Sembra che lei cerchi le persone ma che non le trovi.
L.K.: “Magari io scappo fuori con tutti questi uomini, che ne sappiamo? Voglio dire: ci sono 5-6 uomini che cantano meravigliosamente; non necessariamente: non sono uscita con uno solo, potrebbe essere qualsiasi cosa.”
A.R.: “Penso che quello che è chiaro è che io recito la parte del suo amico e che il coro è un mio regalo per lei.”
L.K.: “È una sorta di ironia: magari sto giocando o recitando solo per attirare l’attenzione su me stessa, in effetti sto molto bene da sola. Chi può dirlo?”
A.R.: “Non abbiamo nominato Anna, mia moglie, lei ha lavorato in questa pièce.”
L.K.: “È stato molto speciale: Anna è lei stessa una danzatrice e performer meravigliosa e ha portato un equilibrio molto importante, è stata meravigliosa.”
Vi ha dato il punto di vista esterno.
L.K.: “Assolutamente, ci siamo potuti entrambi identificare con lei perché loro due sono sposati da tanto tempo e io sono stata aiutata da Anna perché lei è una donna e ha capito come mi dovevo sentire, l’empatia per me perché io sono più coreografa e lei mi ha dato la sicurezza di provare le cose e di farle, quindi è stato fantastico averla lì.”
In chiusura, cosa pensate di questa esperienza a Bassano?
A.R.: “Meravigliosa, qui a Bassano l’esperienza è davvero produttiva.”
L.K.: “Cittadina stupenda ma anche stare in Italia, che è il mio paese preferito in Europa, davvero un bel posto dove stare. E nel lavoro c’è così tanto interesse da parte di Roberto ( Casarotto, responsabile progetti internazionali per il Comune di Bassano ndr), e degli altri artisti: andiamo a vedere a vicenda i nostri lavori, c’è una comunità con una grande forza creativa, che è molto importante; per la danza italiana in un certo senso Bassano è un crocevia di scambio internazionale tra le persone e le comunità di danza che si incontrano e questo è molto bello e speciale.”
“Blind date”
Sito progetto act your age
sito di marco d’agostin
http://marcodagostin.it/home.html
silvia gribaudi
http://www.silviagribaudi.com/
la compagnia di Arthur rosenfeld
la piattaforma dance-identity di Liz King
https://www.facebook.com/D.ID.DanceIdentity
nederlandse dansdagen
http://www.nederlandsedansdagen.nl/
dance house lemesos
csc casa della danza operaestate
garage nardini
http://www.operaestate.it/luogo/csc-garage-nardini/
san bonaventura
http://www.operaestate.it/luogo/csc-san-bonaventura/