La settimana scorsa, al Teatro Comunale di Vicenza, è andata in scena la commedia di Goldoni “La bottega del caffè”. Uno spettacolo classico che ha visto come protagonista il celebre attore Antonio Salines nei panni di Don Marzio, il maldicente della città, quello che sa tutto di tutti senza, in realtà, conoscere i fatti. Una commedia ben equilibrata grazie anche all’interpretazione degli attori e dove i protagonisti maschili spiccano per antipatia e disprezzo per le donne, pur rimanendo ben inseriti in un contesto sociale e psicologico caratteristico della commedia degli equivoci. Ho incontrato Antonio Salines, col quale ho parlato della commedia, del suo rapporto con Carmelo Bene e Vittorio Gassman, di come sia cambiato il rapporto tra teatro e televisione e teatro e pubblico.

In questo spettacolo vediamo che la scelta dell’allestimento segue un rigore filologico notevole. Trattandosi di una commedia molto attuale, secondo lei si potrebbe rendere ugualmente bene anche in abiti moderni?

“È stato fatto un adattamento teatrale da uno dei registi più moderni della nostra epoca, Fassbinder, rispettando  molto Goldoni e facendolo in costume, mettendogli un linguaggio più contemporaneo. A volte non occorre cambiare il costume: se rispetto Goldoni l’abito moderno non è che aggiunga attualità. Fassbinder aveva fatto un’edizione molto più cattiva se vogliamo, rendendola attuale, però scenografia e costumi erano del’700; sembra un po’ quello che ha fatto Fellini nel “Casanova”:  ha rispettato il ‘700 con un linguaggio filmico moderno.”

La recitazione  è fedele a i canoni dell’epoca, può spiegarci in cosa differisce dalle tecniche utilizzate oggi?

“È come una partitura musicale: mettersi davanti a uno spartito di Mozart, rispettando le note di Mozart, diventa di un attualità sconvolgente. Noi siamo strumento, come un violino una tromba o un flauto o un arpa, basta rispettare quel linguaggio lì e siamo moderni.  Io sono uno che ha cominciato con Carmelo Bene, siamo usciti dall’accademia insieme, conosco  tutto del teatro d’avanguardia e lui diceva che quelli che erano venuti dopo erano tutti suoi aborti, per dire che erano tutti delle copie sbagliate di quello che aveva fatto lui. Anche quando facciamo l’avanguardia bisogna stare attenti: c’è avanguardia e avanguardia; sono dell’idea che bisogna rispettare il classico così com’è. Quando un attore, un regista è moderno dentro di sé, viene fuori il testo attuale, come in questa edizione.”

Lo spettacolo è molto divertente ma vediamo che i personaggi maschili sono prevalentemente  molto maschilisti: questa caratteristica che li rende un po’antipatici come si equilibra con la leggerezza della commedia?

“Ecco, questo è un aspetto molto interessante: c’è stato un “Riccardo III”, famoso, fatto da Laurence Olivier, al cinema e prima in teatro. Lui aveva fatto il personaggio molto cattivo e violento, poi un suo amico, il regista Richardson, gli disse che non serviva che lui lo facesse così e lui cambiò la messa in scena facendolo diventare simpatico. Questa domanda me la sono posta anche io, perché un personaggio che parla male degli altri è negativo; però questo aspetto non dava leggerezza e divertimento al testo. Dopo la prima recita ho cambiato il personaggio: deve essere uno che dice cose cattive ma che deve essere simpatico ed è rimasto un personaggio vincente. Era sbagliato farlo cattivo perché se fai Goldoni e non fai divertire…”

Anche perché la sua è proprio la chiacchiera “da baretto”.

“Esatto, e poi è un personaggio che vive della vita egli altri, è come ne “Il bugiardo”, sempre di Goldoni: si alimenta di questo, quindi diventa anche affascinante il personaggio, in questo senso qui. Se fai soltanto l’aspetto negativo ti freghi te come attore e anche tutta l’opera, perché la gente non ride più.”

Vediamo che i personaggi provengono da regioni diverse, eppure non assumono dei comportamenti che li rendono riconoscibili come veneto, piemontese, napoletano o siciliano.  Questa commedia potrebbe essere ambientata ovunque.

“Sì è vero, secondo me è un pretesto , il mio personaggio è napoletano, ma il linguaggio è un italiano molto preciso.”

Sì ma non è che c’è uno studio sugli atteggiamenti  o tratti caratteriali “etnoriferiti” .

“No assolutamente. Non per niente, tornando a Fassbinder, l’aveva affascinato talmente questa commedia che non aveva pensato più a Venezia né a niente, aveva pensato di renderla così com’era;  non c’è bisogno di identificare le regioni d’Italia.”

Lei ha lavorato molto sia con Gassman che con Carmelo Bene, col quale ha fondato una delle prime compagnie di teatro autogestite.  È inevitabile che le chieda come fu lavorare con loro, visto che avevano un approccio così diverso nei confronti del teatro.

“Io e Carmelo ci siamo laureati insieme all’Accademia di Arte Drammatica. Siamo usciti e abbiamo formato questa compagnia, col “Caligola”, che fu strepitoso ed ebbe la “benedizione” di Rossellini, che fu uno dei primi che ha creduto in Carmelo Bene anche senza averlo visto come attore, soltanto parlandogli. I diritti erano ancora di Camus, e non li dava a nessuno, allora Carmelo per averli si mise sotto l’albergo Danieli di Venezia e aspettò 3 giorni che Camus gli desse audizione. Finalmente, pioveva, lui bagnato di pioggia, Camus si impietosì e lo fece salire. Lui gli spiegò che voleva fare il “Caligola” con un gruppo di giovani e Camus  rimase talmente affascinato da Carmelo che gli diede i diritti. Con Carmelo abbiamo passato tanti anni insieme anche se io mi sono scritturato con Gassman. Poi il “Caligola” lo abbiamo ripreso, quindi sono sempre rimasto molto in contatto con lui e abbiamo avuto proprio delle avventure: lo abbiamo ripreso a Genova senza una lira, ci sono dei racconti che non finiscono più. Però è stata un’esperienza bellissima. Per questo io capisco questi ragazzi giovani che fanno l’avanguardia, perché sono scafato ormai, so benissimo cos’è il teatro vero d’avanguardia. È un teatro anche sofferto, è un teatro che deve far piangere perché come lo faceva Carmelo è un teatro straziante. Oggi vai a vedere il teatro d’avanguardia e rimani freddo e impassibile, ti chiedi che cos’hai visto e quindi non ha un’anima.  Io dico sempre, come diceva tra l’altro Flaiano, l’avanguardia oggi deve essere vendibile, deve arrivare, se non capisci niente vuol dire che non è avanguardia, non è niente. Poi  è stata un’esperienza che mi è servita come attore per dare anche delle mie interpretazioni  personali ai personaggi. Con Gassman è stato un grandissimo maestro perché mi ha insegnato tutto per quanto riguarda la tecnica, stare in scena, avere la padronanza del palcoscenico, siamo stati molto amici anche con lui. Ho avuto due esempi: Carmelo aveva l’età mia ma Gassman che era più vecchio di me, per me è stato il mio maestro.”

 Avevano due approcci completamente diversi. Ogni tanto vado a rivedermi il canto di Ulisse e Diomede: mentre Gassman dava corpo agli spiriti, Bene dava corpo al suono delle parole e creava le immagini; quando recita la parte delle Colonne d’Ercole, uno sente proprio i rumori dell’acqua, della barca.

“Sisì, ma lui era un maestro in questo senso. Lui diceva: “Quando si fanno queste cose bisogna leggerle, io sono lo strumento e la mia voce deve essere uno strumento al servizio della parola e della poesia”. Ma anche Gassman era strepitoso, quindi anche io ho imparato.”

Quello che chiedo a tutti quelli che li hanno conosciuti: è vero che tra loro due non si sopportavano?

“No no, anzi, quello è un errore: Gassman e Carmelo Bene erano due che si intendevano.”

Visto che prima le chiedevo dell’evoluzione delle tecniche recitative nel corso del tempo:  spesso chi era considerato un bravo attore negli anni passati, penso ad attori come Cary Grant o James Stewart, lo è considerato anche oggi. Un attore giovane ritenuto bravo oggi, sarebbe stato valutato allo stesso modo anche in epoche passate?

“Oggi ne parlavo proprio con i giovani di questa compagnia che sono andati in Lituania a vedere dei saggi  di attori che lavorano nelle accademie dalla mattina alla sera, sanno recitare ballare. Mi hanno detto che sono rimasti stupiti dalla preparazione. Purtroppo questa preparazione negli attori oggi non c’è, sia nel cinema che nel teatro: quando ho fatto l’accademia d’arte drammatica negli anni ‘60, di lì poi abbiamo cominciato. Si è andata perduta anche questa scuola da cui sono nati i Gassman, Manfredi, Mastroianni. Questa scuola qui si è tutta persa ed è andata allo sfacelo, forse l’unica scuola un po’ è quella di Genova. Le scuole di recitazione non sono più all’altezza di quando le abbiamo fatte noi, purtroppo. Negli altri paesi esiste questo livello di scuola che porta gli attori a fare delle cose strepitose, in Italia purtroppo no, se uno fa delle cose è perché gli vengono così, perché ha un talento naturale.”

Lei ha fatto molto cinema, fiction  eccetera.  Molto spesso il pubblico che conosce un attore al cinema o soprattutto nelle fiction, andandolo a vedere a teatro ne percepisce la bravura in modo molto maggiore che non negli altri due ambiti. Questo  succede perché è un problema di confezione del prodotto oppure perché sono mezzi espressivi diversi che convogliano verso il pubblico segnali differenti o anche perché c’è una sorta di distinzione tra chi va al cinema, chi guarda la tv e chi viene a teatro?

Ci sono dei fenomeni: la gente va perché uno è diventato un divo televisivo o del cinema ma ai miei tempi non succedeva.  Io ho fatto i Karamazov, che fu strepitoso con Carlo Simoni, Corrado Pani, ero allo Stabile di Milano a fare la “Betia” di Ruzante e poi ho fatto con Chereau il “Toller” ed ero uscito dalle cose televisive. Avevo un successo che non potevo camminare per strada, ma la gente non veniva a teatro per vedere Salines che veniva dalla televisione ma per vedere QUEL TESTO lì. Quindi è cambiato in un modo impressionante il pubblico. In Inghilterra la Kidman ha fatto un lavoro che ha avuto un successo enorme, poi certo la Kidman è una diva eccezionale, ma la gente va per vedere il testo, oggi non si capisce più…”

Ma secondo lei questo è colpa della televisione? Perché c’è sempre questa polemica che il teatro non dovrebbe stare in televisione eccetera, però quando c’era la prosa in tv la gente era più alfabetizzata a livello teatrale, resta il fatto comunque che il pubblico della prosa è generalmente più preparato di quello televisivo.

“Senz’altro, però il pubblico della prosa oltre che prendere gli abbonati prende anche la gente che va perché c’è il richiamo del nome ma non essendoci una vera identità teatrale come negli altri paesi, purtroppo dobbiamo farci trascinare. Noi stavamo, tutti i giorni, 20 giorni a studiare la parte e poi facevamo la ripresa in 4 giorni, anche le dirette.”

Ma oggi il pubblico oggi è più informato, ha la possibilità di fruire di queste cose e invece quando il pubblico aveva meno informazione, non solo le guardava, ma le apprezzava. Perché c’è questo paradosso?

“Eh perché c’è tanta offerta di tutto, e c’è tanta confusione tra grandi fratelli e varietà. Avendo una nazione dove non c’è una cultura del teatro, da Goldoni, a parte Pirandello e Eduardo, si è sentito un vuoto totale. Se oggi si decidesse di dire che il teatro chiude, la gente non farebbe le rivolte, in Inghilterra sì.”

Lei è figlio del compositore Enrico Salines. Che rapporto c’è tra lo studio di una pièce, di un personaggio e la musica come pensiero astratto?

“Io ho utilizzato le musiche di mio padre nel film su “Zio Vania”, che è un film uscito nelle sale e che è un’opera teatrale filmata, un po’ come facevamo ai nostri tempi, che ha avuto molto successo in vari festival come Spoleto. È un’opera teatrale che non può avere la visibilità di un film normale, ma sono molto contento di averla realizzata. Credo che la musica per il cinema sia fondamentale e ora ho in mente di fare una cosa sempre musicale che si chiama “Armonia immortale” su due musicisti che diventano vampiri.  io penso chela musica sia tutt’uno con il personaggio,  quando recito penso sempre a un partitura musicale, non c’è molta differenza tra noi e questo. Io amo molto la musica anche perché sono stato abituato fin da piccolo alla sinfonica e all’operistica, mio padre ha composto anche delle opere liriche. Questo film che voglio fare si basa tutto sulla musica: sono due giovani musicisti che prendono ispirazione da una vampira perché è immortale quindi questa musica deve rimanere immortale. È un’ allegoria ispirata al racconto “il vampiro” di Polidori.”

tournée ( info www.teatrocarcano.com)

21 gennaio 2012 ore 21.00 e 22 gennaio 2012 ore 16.00 – NOVARATEATRO COCCIA
25 gennaio 2012 ore 20.45
– PALMANOVATEATRO GUSTAVO MODENA
dal 27 gennaio 2012 al 5 febbraio 2012 ore 20.30
– TRIESTETEATRO ORAZIO BOBBIO
21 febbraio 2012 ore 21.00
– VARESE TEATRO DI VARESE
22 e 23 febbraio 2012 ore 21.00
– BRUGHERIO CINEMA TEATRO SAN GIUSEPPE
25 febbraio 2012 ore 21.00
– LAMEZIA TERMETEATRO POLITEAMA

 

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