La settimana scorsa allo Spazio Bixio di Vicenza è andato in scena il monologo “Malabrenta”, scritto e diretto da Giorgio Sangati e interpretato da Giacomo Rossetto che ho incontrato per l’intervista che segue. Lo spettacolo ha riscosso davvero molto successo e suscitato molto interesse al punto che si sono create le liste d’attesa. La storia è quella della Mala del Brenta, l’associazione mafiosa facente capo a Felice Maniero, un boss vero e proprio che ostentava la ricchezza e che faceva delle rapine da romanzo, come rubare la lingua di sant’Antonio durante il restauro della basilica perché aveva capito che il richiamo turistico portava tantissimi soldi. Chi racconta è un personaggio fittizio che viene chiamato Malabrenta. Amico fin da ragazzino di “Felicetto” ( all’epoca veniva chiamato anche così), Malabrenta racconta con entusiasmo le rocambolesche vicende di quel periodo. Uno spettacolo avvincente, a tratti anche commovente, divertente ma anche amaro, che sfuma tra la forma teatrale, il racconto tra amici, l’intervista e la deposizione giudiziaria. Bellissimo.
L’idea della pièce parte da prima della realizzazione della fiction?
“Sì, Giorgio, che è l’autore ha iniziato a scriverlo nel 2010, ci ha messo un anno e abbiamo debuttato nel 2011, molto prima della fiction. Lui ha letto delle interviste di Maniero e ha letto tutto il materiale dei processi e ha raccontato la storia che si ricordava. Per raccontare la storia della banda serviva uno che non fosse mai stato arrestato quindi non è un personaggio vero, è un misto di tanti che fanno la bassa manovalanza.”
Però pur essendo una forma teatrale sembra quasi una deposizione davanti al magistrato.
“È un racconto molto libero, un flusso di coscienza, lui racconta tutto da quando era bambino.
Una cosa che chi ha vissuto un po’ la cronaca, e la fiction lo ha fatto notare: quando loro cominciano a salire in fama e potere, nella pièce lo dite, loro erano visti come …
“…Meglio Maniero che il governo. Noi lo abbiamo fatto anche nella villa che è stata confiscata a Maniero, con l’ Associazione “Libera”, associazione contro le mafie, e c’era un signore di Libera che ci raccontava che a Campolongo lui è ancora visto come un mito perché quando parlavano con gente non di Campolongo, che diceva che era un criminale, gli abitanti dicevano che era un bravo ragazzo che aiutava perché magari lui dava 2 milioni par farsi tenere una macchina in un garage. Quindi era visto come un Robin Hood quando in realtà era un criminale spietatissimo.”
Anche nel testo dite che gli omicidi tra criminali fanno meno effetto perché sembra una cosa tra di loro, che non riguarda gli altri perché alla fine è gente che se l’è cercata.
“Anche adesso se un mafioso ne uccide un altro. In realtà è sempre una persona che muore ma tanti hanno il pensiero che si ammazzano tra di loro.”
Il problema di questi personaggi, che sono dei criminali, é che si trovano in situazioni romanzesche che purtroppo li rendono simpatici: il compagno che si traveste da donna, il nascondiglio nel teatro, vanno all’Hotel De Bain e se ne escono con 5 miliardi, la Ferrari, i lingotti d’oro, vanno all’aereoporto Marco Polo e rubano 170 miliardi, soprattutto nella situazione in cui ci troviamo adesso in cui si sente di tanti sprechi da parte dello Stato.
“Si sì, attorno alla figura di Maniero c’è ancora tantissima fascinazione. Lui forse era già scappato da Padova e c’erano i gli ultras del Padova che fecero gli striscioni “Corri Felice, corri”. Su Facebook ci sono i gruppi per Felice Maniero. Noi abbiamo inaugurato, a gennaio, un presidio di “Libera” a Bassano e Don Luigi Tellatìn, che è un prete antimafia, ci raccontava che ci sono ragazzi che hanno la foto di Maniero nel telefono.”
Ma secondo te perché? Al di là del fatto che lui aveva questo modo di fare davanti alle telecamere, da divo.
“Lui è cresciuto in una zona, il Veneto di 40 anni fa, uno che a 18 anni si compra la Ferrari, poi al bar dà mance e paga per tutti, sempre vestito elegante, il ragazzino dice: “questo in 10 minuti fa 50 milioni, perché devo lavorare?” Poi dicevano che a Campolongo si piantano fagioli e crescono ladri.”
La cosa che mi colpisce è che è uno che non è che arriva da Venezia, lui era un delinquente ma il modello è quello del veneto che cresce in una “steppa” e che viene su dal nulla.
“ Questa era una regione povera di gente che partiva per andare a lavorare poi ad un certo punto è venuta fuori una generazione di persone che hanno avuto idee intelligenti, che hanno fatto la fame all’inizio e hanno fatto diventare il Veneto quello che è diventato. Ora manca lo sprint. L’imprenditore che aveva l’idea partiva da pochissimo e faceva la fame degli anni perché si impegnava la casa e poi magari riusciva ad arrivare ad un certo livello; oggi uno dice: “ho l’idea, voglio fare l’imprenditore e voglio guadagnare da subito”. È anche vero che non è un momento in cui uno rischia facilmente perché con la crisi se sbagli perdi tutto davvero.”
Lui aveva questo spirito temerario anche sventato e leggero e da come lo descrivi nel monologo, era uno che aveva capito i meccanismi della finanza.
“Era intelligentissimo.”
Può essere che stesse diventando un pericolo per mafia e camorra con cui collaborava perché aveva dato troppo nell’occhio?
“Non saprei dirtelo, lui è stato tanto fuori, tanto libero, non era uno che passava inosservato: Provenzano è stato per anni in una baracca, Riina per anni sperduto in Sicilia, Maniero era uno che andava al ristorante, andava a Piove di Sacco e parcheggiava la Ferrari in piazza, ne ha fatte di cotte e di crude.”
Ma anche il modo in cui sono sempre evasi è romanzesco.
“Passando dal cancello principale.”
La cosa particolare che forse è rimasta unica nel suo genere è che i pm li consideravano un’associazione mafiosa, poi tra l’altro i componenti della banda erano tantissimi.
“Infatti di solito quando andiamo a farlo per le scuole, diciamo “la mafia del Nord” e molti ci dicono che la mafia è del Sud, da Roma in giù o solo in Sicilia e non si rendono conto che questa è stata una delle organizzazioni criminali più importanti d’Italia. Se ne parla sempre di più di mafie ma se tu vai a Torino, per esempio, non sanno della Mala del Brenta, non sanno chi è Felice Maniero, c’è voluta una fiction per accendere i riflettori su chi fosse Felice Maniero. Era una vera e propria mafia.”
La cosa che è stata interessante è anche stata la loro modalità d’azione, non avevano un codice comportamentale stretto.
“Nel giudizio dato alla Mala del Brenta influisce tantissimo la figura di Maniero, cioè come la popolazione vedeva maniero, il fatto di vederlo come un mito, perché tanti: “mah non ci credo che ha fatto davvero quelle cose e se le ha fatte aveva i suoi motivi.”
Forse la gente si identificava in lui.
“Sì, lui era uno partito dal niente e girava col Ferrari a 20 anni, per forza di cose lo vedevano come un mito, vedendo solamente l’ostentazione dimenticandosi che sono morte delle persone, non solo quelli morti ammazzati direttamente, ma tutto il traffico di stupefacenti del Nord ce l’aveva lui, quindi tutte le persone che sono morte per dipendenza da droga, anche loro sono vittime della Mala del Brenta. È che io non riesco a capire perché abbiamo questo giudizio perché ci sono dei ragazzi che nelle scuole dicono che è un figo.”
Questo spettacolo ha vinto il secondo premio del Premio Off del Teatro Stabile del Veneto. Da quanto tempo è che sta girando?
“Ha debuttato il 15 luglio del 2011 e questa se non sbaglio era la 58esima replica.”
Lo avete portato anche fuori regione.
“Lo abbiamo portato a Milano, Trento e a Roma due volte.”
Reazioni?
“Piace sempre un sacco. Io avevo timore che a parte Trento e Milano, bene o male l’accento è quello, a Roma,ci sono molti passaggi in dialetto, temevo che lo capissero a metà e passasse meno il messaggio, invece tutti dicevano che hanno capito tutto, che la lingua non è un ostacolo, quindi vuol dire che la storia funziona. Ormai sono 60 repliche lo abbiamo fatto nelle scuole, e con i ragazzi è bellissimo, lo abbiamo fatto nella villa di Maniero.”
Ma non è un pericolo per le nuove generazioni , per i ragazzi, soprattutto in un momento come questo, vedere questo che a 20 anni va in Ferrari, va al casinò…
“Scrivendo il testo ci siamo posti il problema della fascinazione da parte dl pubblico, in fatti quando andiamo nelle scuole ho sempre questo terrore che i ragazzino capisca la parte sbagliata e che si fermi ai 4 miliardi, 5 miliardi, donne, champagne, Ferrai. Poi però ci ricordiamo che quello che lo racconta lo racconta dal carcere.”
Però c’è anche il rischio che si pensi che lo racconta dal carcere perché è stato stupido e si è fatto beccare.
“Sì c’è il rischio, però non ho mai visto nessuno uscire dallo spettacolo, dicendo: “che figo Maniero”, sono tutti abbastanza impietositi dal personaggio che è sfigato, non ha carattere, il classico “bravo toso, bon come el pan” che però si fa trascinare da questa amicizia, entra in un giro gigantescamente più grande di lui e alla fine ne paga le conseguenze.”
Lì il problema è che sono personaggi che molto spesso, anche col tempo, da alcuni vengono visti anche come dei Robin Hood e mitizzati.
“Quando è uscito Romanzo Criminale uscivi per strada e vedevi i ragazzi con le magliette dei personaggi di Romanzo Criminale, io vivevo a Roma in quel periodo. Se vedi “il Padrino”, film meraviglioso, tutti tifano per la famiglia Corleone poi però quando finisce il film ti rendi conto che effettivamente erano dei mafiosi, non è che dici: “che figo”. È il fascino del male, sono sempre più accattivanti queste persone.”
Secondo te, il personaggio direbbe le stesse cose se non fosse stato preso?
“ Secondo me il personaggio non direbbe queste stesse cose se non fosse stato tradito: se Maniero non avesse fatto il suo nome, lui non sarebbe stato preso. Se non fosse mai stato arrestato e quindi tradito da Maniero, secondo me ne avrebbe un giudizio assolutamente positivo.”
Quindi è qualcosa di legato all’amicizia, non alla “malasorte”.
“Qui è: io ti ho dato tutta la mia vita e io ho fatto qualunque cosa tu mi dicessi di fare tu mi hai tradito, io devo farmi 30 anni e tu sei fuori. Gli crolla il mondo addosso. Secondo me Maniero, per il personaggio di Malabrenta non è solo l’amico, il capo ma sostituisce un po’ anche la figura paterna, è una guida. Se Maniero non avesse parlato, lui magari sarebbe in Sudamerica a godersi una “pensione” dorata, il fatto che Maniero l’abbia tradito, gli fa cambiare opinione. Io ho visto un bellissimo documentario di History Channel sulla Mala del Brenta: ci sono questi ex componenti che raccontano come se veramente avessero fatto l’Italia: loro non si giudicano come uomini terribili, anzi hanno un giudizio negativo su di lui, non su loro stessi. C’è questa cosa di essere stati traditi come se fossero stati una grande famiglia e a un certo punto il capo dice: “non si gioca più.”
Lui è anche stato uno che si è inventato il personaggio negativo mediatico che diventa simpatico, viene arrestato e dice: “ciao mamma” salutando con la mano.
“Si sì, in quel video lì ridevano anche i giornalisti, si era creato questo personaggio.”
Lui era cosciente del personaggio e soprattutto della potenza di media.
“Si sì, era tutto calcolato.”
trailer dello spettacolo
il video tratto dal servizio del TG1 sull’arresto, in cui Maniero è intervistato da tutti i giornalisti
sito ufficiale della produzione
prossime date
2 marzo ore 21 Piccolo Teatro Dante Vittorio Veneto (TV)
15 marzo ore 21 Teatro Groggia Venezia