Arriva al teatro Astra di Vicenza la compagnia Punta Corsara, formata dai ragazzi di Scampia, che porta in scena Molière con l’opera riadattata “Il Signor di Pourceugnac”. Concorso on line per vincere i biglietti per la prima regionale al Teatro Villa dei Leoni di Mira (VE) e il giorno dopo all’Astra di Vicenza (venerdì 2 dicembre e sabato 3 dicembre).
Continua la stagione di prosa contemporanea del teatro Astra di Vicenza con la commedia di Molière messa in scena dalla compagnia Punta Corsara, composta da giovanissimi attori provenienti dal quartiere napoletano Scampia. Lo spettacolo si preannuncia molto divertente e la compagnia Piccionaia-Carrara, stabile del Teatro Astra di Vicenza, mette in palio due biglietti per la prima regionale di Mira venerdì 2 dicembre e per la replica successiva all’Astra di Vicenza, sabato 3 dicembre. Ho cercato di capire il concept che ha permesso di mettere in piedi lo spettacolo con il regista Emanuele Valenti, nell’intervista che segue.
Tutte le info per vincere i biglietti a questo link http://piccionaia.wordpress.com/2011/11/28/scopri-come-avere-2-biglietti-a-1-euro-per-il-signor-de-pourceaugnac/#more-174
la tradizione teatrale e musicale napoletana coeva a Molière, è ricchissima: pensiamo a “La gatta Cenerentola” che arriva da una novella di Basile. Questa pièce, originariamente, era una comédie ballet, genere inventato da Molière. Avete tenuto conto di un qualche parametro coreografico? Musicalmente a cosa avete fatto riferimento?
“Questo lavoro è da una parte un omaggio a quel Molière più vicino alla Commedia dell’Arte, dall’altra, per lo stesso motivo, un omaggio alla nostra tradizione napoletana: Molière aveva imparato la Commedia dell’Arte da Tiberio Fiorilli, maschera di Scaramouche, a Parigi in quegli anni, con cui Molière condivideva lo stesso teatro, avevano lavorato per un certo periodo nello stesso teatro. È un omaggio anche a Eduardo e i De Filippo, Scarpetta e principalmente Totò. Da una parte abbiamo lavorato sulle sonorità della musica barocca, dall’altra su quelle dei film della commedia all’italiana, da Totò ad Alberto Sordi: da questo incontro è nata la nostra contemporanea comédie ballet.”
Quali analogie linguistiche e culturali avete trovato tra il testo originale e la lingua napoletana, tenendo conto che il napoletano ha molti prestiti linguistici dal francese?
“Su questo potrebbe risponderti Antonio Calone, col quale ho curato la traduzione e l’adattamento e che è il drammaturgo del gruppo. La questione è che nell’originale francese, il personaggio di Sbrigani è napoletano, addirittura con un vestito bianco che ricorda Pulcinella. Noi abbiamo ritradotto il testo non completamente, non tutto ma in parte anche in napoletano, ci siamo lasciati trasportare più dal tipo di linguaggio che i personaggi che avevamo ritradotto potevano rappresentare. Il nostro, più che un lavoro filologico-linguistico, è stato un lavoro partito dai personaggi del nostro contemporaneo, che incontriamo nella vita reale: il servo è diventato una sorta di parcheggiatore abusivo. In questo Molière certe cose sembrano non cambiare mai, tanto nei modi di dire quanto in quello di rapportarsi. Il lavoro parla di uno straniero che arriva a Napoli e la presa in giro dello straniero a noi sembrava attuale, anche per questo abbiamo scelto questo testo.”
In che modo le contraddizioni che caratterizzano Napoli possono creare un linguaggio teatrale comprensibile a tutti?
“Napoli è una città che ti investe continuamente, è difficile essere soli, si è sempre in compagnia. Questo da una parte è bello, da un’altra può essere fastidioso in alcuni momenti, ma proprio per questo, ti pone continuamente delle domande e l’arte nasce proprio da delle domande che il mondo, la società e la vita ti pongono. Napoli sicuramente è una città che ti pone molte domande e che ti mette continuamente con le spalle al muro. Spesso, l’unico modo è quello di riportare queste domande nel lavoro più intimo dell’arte.”
Quanta affinità c’è tra la cultura teatrale napoletana e l’opera di Molière?
“Tantissima, proprio per questi motivi qua. Noi abbiamo trasposto il testo a Napoli perché Sbrigani è napoletano e poi perché Molière aveva scritto altre farse in quel periodo ambientandole a Napoli, come “Le furberie di Scapino”. Dal primo momento in cui ho letto il testo, a me sembrava che fosse ambientato a Napoli più che a Parigi.”
Ma anche perché all’epoca c’erano tantissime analogie tra Napoli e Parigi: Napoli non temeva assolutamente Parigi.
“Questa cosa è partita proprio dal testo! Nella nostra trasposizione, il protagonista principale diventa proprio la città e quel testo mi ha fatto pensare a Napoli proprio perché Napoli è in sé una città-personaggio.”
Che tipo di riscontro avete dal pubblico che viene a vedervi, sapendo del vostro tipo di impegno? Sono più incuriositi di quanto non potrebbero esserli rispetto ad altre compagnie, sapendo che venite da Scampia?
“Sicuramente sì, non si può non ammetterlo. Alcune persone si trovano anche spiazzate vedendo che portiamo in scena Molière. A noi piace parlare di noi stessi attraverso dei filtri e questa cosa può spiazzare ma poi diventare più interessante e più forte, proprio perché non si parla direttamente delle questioni quotidiane che noi viviamo, ma se ne parla in un altro modo.”
Come sono nati il progetto e la collaborazione con Marco Martinelli del “Teatro delle Albe”?
“Marco è sceso a Scampia a lavorare coi ragazzi, ha cercato dei riferimenti nei teatranti napoletani che potessero accompagnarlo in un percorso e abbiamo cominciato a lavorare insieme. Ci siamo trovati molto bene e io sono rimasto assolutamente entusiasta di come lui è riuscito a lavorare con gli adolescenti. Mi ha proposto di seguirlo in questo percorso di formazione di una compagnia proprio con quegli adolescenti con cui stavamo lavorando e da qui è nata la compagnia Punta Corsara.”
Pur provenendo da una realtà difficile sembra che ci siano più possibilità di fare ricerca teatrale a Napoli che in altre realtà del Sud, è un’impressione corretta?
“in questo momento non è così semplice perché ci sono stati dei cambi anche nelle direzioni e nelle istituzioni che hanno portato più l’accento sulla tradizione e quindi ora c’è il rischio che a Napoli si facciano dei passi indietro. Da questo punto di vista, però, sicuramente, Napoli è sempre stata una città teatralmente molto vivace, per i motivi che dicevamo, cioè che è in sé già un personaggio: c’è una teatralità diffusa nella vita quotidiana, tra le persone, già nei modi di comunicare. Di questa cosa se ne è sempre parlato tanto, dagli antropologi agli studiosi di teatro. Martinelli se ne è reso conto con gli adolescenti, che comunque c’è un fuoco anche nei bambini e nei ragazzi, in quella tradizione, che è quella di Totò, Scarpetta, Viviani, è come se ci fossero degli atteggiamenti che si imparano da quando si è piccoli.”
A Napoli c’è un forte tradizione di cabaret e di prosa di narrazione in forma comica o comunque di commedia; però ultimamente sembra esserci un po’ un calo della creatività, c’è invece un maggior movimento nell’ambito del teatro di ricerca. Come sta cambiando la drammaturgia napoletana?
“La scommessa è quella di non fare solo intrattenimento. È sempre difficile, a Napoli, dover fare i conti con questa grande tradizione e lascito che viene dal passato e che ci portiamo dentro: secondo me la drammaturgia napoletana ha degli esempi interessantissimi, negli anni ’80 c’è stata tutta una nuova drammaturgia e oggi vengono fuori dei drammaturghi molto interessanti , il primo che mi viene in mente è Mimmo Borrelli ma ce ne sono tanti altri.”
L’ispirazione e la fantasia non hanno confini o limiti culturali e geografici, perché gli artisti napoletani, invece, si distinguono quasi sempre? Qual è il processo creativo che porta un prodotto culturale a rendersi unico e riconoscibile al punto, a volte, di non essere addirittura completamente compreso?
“Sicuramente da una parte c’è la questione che è vero che a Napoli si tende a parlare sempre di se stessi e questo è anche un limite. Infatti, secondo me, avere dei filtri per parlare di se stessi può aiutare a non essere autocelebrativi ed autoriferiti. È anche vero che Napoli è una città piena di contraddizioni e che spesso c’è la necessità di raccontare quello che accade e quindi avere coscienza e trovare una misura molto personale, il limite giusto. Secondo me se si riesce a trovare il giusto equilibrio tra il non essere troppo autoreferenziali ma nemmeno anonimi, ciò di cui si parla può essere qualcosa di universale: da una parte non dimenticarsi di dove si vive e dall’altra riuscire anche a guardare altrove e andare oltre. Questo, a parte che per Napoli, riguarda anche quando si fanno dei lavori autobiografici: riuscire a trovare nella propria storia ciò che può essere capito e sentito dagli altri.”