La stagione della prosa del Comunale di Vicenza si è conclusa la settimana scorsa con un celebre testo di Heinrich Von Kleist, “Il principe di Homburg”. Ambientata nel 1675, la vicenda si svolge in un periodo di guerra tra il territorio di Brandeburgo e la Svezia. Il principe Federico Arturo di Homburg, il protagonista, è un generale di cavalleria e soffre di sonnambulismo. Tutti gli eventi sono dominati dal rapporto tra inconscio e vita reale, tra desideri, paure e quotidianità concreta regolata da leggi che condizionano la vita e la morte degli individui. Scritto tra il 1809 e il 1810, dopo un periodo particolarmente travagliato per l’autore, questo dramma non ebbe alcun successo, al punto che Kleist decise di smettere di scrivere. Oggi è considerato da molti il suo capolavoro. Ho incontrato Lorenzo Gleijeses, giovane protagonista della pièce che ha interpretato il personaggio del principe, col quale ho analizzato alcuni aspetti dello spettacolo e accennato al teatro di ricerca, ambito teatrale in cui si muove maggiormente.
Quali sono, secondo te, i tratti del carattere del principe in cui lo spettatore moderno può riconoscersi?
“Secondo me tutti gli spettatori possono riconoscersi nel principe nonostante sia un personaggio abbastanza irreale oggi perché fa parte di una società, che è l’opposto della nostra, dove la regola è importante: qui abbiamo un capo di stato che dice che la legge sancisce che chi fa insubordinazione deve morire, anche se è cugino del sovrano. Molti oggi hanno questo senso di essere stomacati verso la politica o la nazione vilipesa. Io non sono come il principe, però questa situazione mi fa rispecchiare in lui: tante volte posso dire di no a una certa cosa, mi impunto, poi volente o nolente, i ritmi e la quotidianità ci fanno abituare sempre al peggio e ogni giorno dici: “vabbè abituiamoci anche a questo schifo” e diventi inerte. Questa società esisteva davvero 200-300 anni fa, ed era davvero così, anche ai tempi di Cesare c’erano dei contadini che facevano le cause e si schieravano contro l’imperatore e a volte le vincevano.”
L’ambientazione è centralizzata sulla guerra, le leggi, la sentenza, le regole militari, tutto questo è in antitesi con i sentimenti individuali, gli stati d’animo, addirittura il sogno. Sembra che lui viva la vicenda meccanicamente, i suoi sentimenti non sembrano compatibili con l’atmosfera che lo circonda. Queste leggi che regolano la vita, già nell’idea del sonnambulismo, sembra che lui le trapassi: quello che si sente dentro non può essere regolato da delle leggi. I suoi stati d’animo, il suo modo di essere, la contraddizione tra ciò che deve fare e ciò che non può fare: come si mantiene questo equilibrio scenico tra vicenda e personaggio?
“ Il personaggio è questo: lo stare in bilico e a volte trovare l’equilibrio come un funambolo, altre volte non trovarlo e cadere nel più goffo dei modi, come quando si dispera davanti alla madre e dice che non vuole morire, che ha visto la sua tomba. Era una cosa inaccettabile in quella società lì: se era stata sancita la morte, uno la doveva accettare. Altre volte, invece, fa come un funambolo su questa fune: c’è la morte? L’affronto. Quindi non c’è un equilibrio all’interno del personaggio; la vicenda del Principe di Homburg è percorsa da questo continuo disequilibrio/equilibrio e il filo è il limite tra il sogno e la realtà, quello che lui sente e quello che invece bisogna fare per lo Stato e le leggi.”
Lui vuole vivere però la morte viene trattata dall’Elettrice e dalla figlia come qualcosa da affrontare con dignità e tranquillità. Loro dicono che appunto vogliono aiutarlo ma al tempo stesso sembra che la morte e la vita siano equivalenti. Nel programma di sala che proponete c’è uno scritto proprio di Kleist, dove appunto ci si chiede cos’è che vale nella guerra descritta. Cosa vale in questa pièce?
“Dipende, per ogni personaggio ci sono delle cose diverse: per l’Elettore la legge, per il Principe di Homburg in un primo momento è il sentire, in un secondo momento è il morire, creare un grande personaggio che superi la sua morte. Per Natalia la cosa importante è sposare Homburg e tenerlo in vita. Per Kottvitz è importante il suo lavoro, la guerra. Ognuno ha dei suoi valori ed è un bel testo per questo, perché non c’è un bene universale, c’è più diversità e sono personaggi più rifiniti, più che avere tutti i personaggi che hanno uno stesso ideale.”
i testi più interessanti spesso si basano su contraddizioni che annullano e ribaltano le situazioni. Qui sembra di vedere che le contraddizioni si intersechino e si equivalgano, è come se ci fosse una ricorsività di situazioni che si ripetono l’una all’interno dell’altra: il sogno e la guerra, la condanna e la salvezza, l’onore e la supplica. Come possono coesistere questi aspetti contraddittori in un equilibrio senza che si crei una sorta di conflittualità? Molto spesso, nelle pièce, il bianco e il nero si contraddicono ma sono la stessa faccia della medaglia: qui invece è come se ci fossero due binari che ogni tanto si intersecano e convivono.
“Quali sono il bianco e il nero, qua, secondo te?”
La legge, le regole e anche il fatto di trattare il sogno, il sonnambulismo, in un’epoca in cui la medicina moderna era veramente agli albori, era quasi come parlare di magia. Questi due opposti convivono senza necessariamente negarsi l’uno con l’altro: non c’è né negazione né contraddizione, sono semplicemente aspetti diversi che coesistono anche l’uno all’interno dell’altro e non sono nemmeno aspetti della stessa medaglia: la guerra col sonnambulismo non c’entra niente, così come le regole con il sogno, non c’entrano niente.
“Per ogni testo potremmo trovare delle contraddizioni o delle non contraddizioni. Diciamo che sicuramente, come dicevi tu prima, è un testo dove convivono molte realtà, per questo è molto difficile fare il personaggio del principe oggi, perché è in continuo equilibrio-disequilibrio tra queste realtà totalmente opposte. Per esempio, una cosa su cui ho pensato io stesso, e che c’è nella tua domanda, è che in alcuni momenti lui è come se avesse davvero delle bistecche sugli occhi: ascolta solo il suo sentire e le sue percezioni; in altri momenti è un “ultraveggente”, vede e percepisce le cose, prevede dove lo porteranno e penso che per vincere delle battaglie ci voglia molto di questo “naso”e strategia. Nel Principe di Homburg convivono queste anime diversissime: il comandante di guerra e il bambino insicuro. La difficoltà di fare questo personaggio è che in certi momenti è talmente percepito nella realtà e in altri momenti completamente immerso nel sogno, questo è molto complesso. Anche, per esempio, dare il sogno, come attore, è complessissimo.”
Anche nel contesto della storia di guerra, che è molto razionale
“Si assolutamente.”
Eugenio Barba e il Terzo Teatro. Tu hai lavorato con lui e con l’Odin Teatret. In cosa si differenzia il Terzo Teatro dal resto del teatro di ricerca?
“Dire ricerca è come dire teatro: c’è ricerca fatta bene, fatta male, eccetera. Io penso che il Terzo Teatro sia stato più che altro un modo per creare una branca, un gruppo, all’interno del teatro di ricerca. Il Terzo Teatro è diventato un po’ imitare il maestro, perché non c’è stato nessuno come Eugenio, che a sua volta era cresciuto con Grotowski. C’è stata una sorta di proiezione ideale per arrivare a quelle vette. ”
Grotowski e il Teatro Povero dove è centrale il rapporto tra attore e pubblico: secondo te oggi che rapporto c’è tra gli artisti e il pubblico?
“Dipende, ci sono diecimila tipi di pubblico e diecimila tipi di artisti. Io penso che le seconde avanguardie storiche, quindi ‘60-‘68, gruppi storici e artisti importanti come Eugenio Barba, Grotowski, Living Theater, siano serviti a cambiare il mondo teatrale e il modo di fruirne. Gli allievi di Grotowski al Workcenter fanno gli spettacoli e dicono che li fanno per massimo 10 spettatori e che magari per loro è pure più importante quando non c’è nemmeno il pubblico. Ci sono delle persone che, anche all’interno di un solco di ricerca, se ci sono troppo poche persone non trovano una necessità nel fare il proprio lavoro. C’è di tutto e questo credo sia il risultato del lavoro di certi pionieri di cui hai parlato tu, perché si sono sfondati certi tabù e certe regole che erano state definite. Queste regole non ci sono più e oggi ci sono tantissimi modi di porsi al pubblico.”
Dicevamo di Grotowski, che è famoso anche per un suo tipo di training particolare che coinvolge sia il corpo che la voce. Tu hai fatto questo training? Se sì, che tipo di esperienza è stata e in che modo ti è tornato utile nella prosa di narrazione, come nel caso de “Il Principe di Homburg”? In cosa si distingue rispetto alle altre tecniche?
“Chi lo sa qual è il training di Grotowski! Ci sono state delle persone che hanno lavorato con lui e che ti possono passare le cose che lui ha passato a loro. La questione è un’altra: ci sono 1000 Grotowski: c’è quello degli anni ‘60 che aveva 25 anni, quello degli anni ‘70, con una seconda fase, quello degli anni ‘80 e quello degli anni ‘90, col Teatro delle Sorgenti, quando lui è venuto a vivere in Italia e ha detto di non fare più spettacoli per il teatro e faceva delle sorte di cerimonie in luoghi non teatrali tipo campagne eccetera. Io ho incontrato persone che hanno lavorato con lui in varie fasi della sua vita, ho un’idea di cosa può essere il training che lui ha fatto con alcuni attori in alcuni momenti della sua vita ma non è che so davvero che cos’è. Però un training come quello di Grotowski e dell’Odin Teatret è essenziale per una persona che vuole fare prosa o tradizionale. Penso che la cosa migliore sia guardare quel tipo di lavoro, che penso dia un controllo fino all’ultima fibra muscolare di ogni parte del proprio corpo e ogni emissione vocale. Ma questa è la base di tantissimi training.”
Hai lavorato anche con Lindsay Kemp. Anche con Eimuntas Nekrosius, giusto?
“Ho fatto uno studio su “Ivanov”.”
Punti di contatto, nella tua esperienza, tra Lindsay Kemp, Nekrosius, Grotowski ed Eugenio Barba.
“La genialità. Tutte diverse, ognuna che andava in direzioni diverse. La sincerità e l’onestà della ricerca e la dedizione verso il proprio lavoro. Questi sono i punti di contatto. Non a caso non ti ho dato nessun punto di contatto dei prodotti performativi, quello è un discorso che potrebbe farti più un professore. Poi Grotowsky è stato maestro di Eugenio e quindi ci sono più punti di contatto. Ma ciò che li accomuna è più nel modo di rapportarsi al lavoro che non sulla messa in scena: lì diventa veramente un discorso troppo astratto e tecnico.”
info http://www.cssudine.it/produzioni_scheda.php/ID=636/menu=1
sito di Lorenzo Gleijeses http://www.lorenzogleijeses.com/
tournèe
10-11 aprile 2012
Sassari, Teatro Verdi
13-14 aprile 2012, ore 21
15 aprile 2012, ore 19
Cagliari, Teatro Massimo
18-21 aprile 2012, ore 20.30
22 aprile 2012, ore 16
Genova, Teatro della Corte
24-28 aprile 2012, ore 20.30
29 aprile 2012, ore 16
Milano, Teatro Elfo Puccini, Sala Shakespeare
3-6 maggio 2012
Modena, Teatro Storchi